Il giorno in cui si ruppe la diga

[The Day the Dam Broke]

Kathleen Ann Goonan


Naturalmente James Thurber era di Columbus ma non credo che fosse italiano. Le notizie diffuse, tese a spingere qualcuno ad andare a Columbus per post dottorati o interventi di studio nella zona dell'epidemia, enfatizzavano una certa vicinanza italiana. Immaginavo di poter comprare mozzarella fresca di bufala tutte le mattine, mazzi verdi di basilico fragrante e parmigiano reggiano tagliato da una una grossa forma, che ai bordi si sbriciola in scaglie che potevo buttar giù direttamente dalla carta paglia o mordicchiare tra un sorso e l'altro di cappuccino o di chiaretto.

Continua a sognare, Julia. Forse questo avveniva prima del millennio, ma non ora. Le notizie a cui mi attaccavo nella cupola di L.A. erano, tanto per dire, un po' vecchie.

Uno dei miei nonni era nato veramente a Columbus, il che era un punto a favore. Ora, quando salta fuori dal muro della mia capanna per una chiacchierata (nessun altro con cui chiacchierare quassù sulle Montagne Rocciose canadesi, anche se sto aspettando Te) delle aure fugaci (immagini ondeggianti) del vecchio Ohio si irradiano mulinando da lui, corridoi del tempo che tremolano fin verso le grandi foreste, i fiumi indiani freddi e lenti e la pre-storia quando la grande terra si ingrossava e si spostava senza curarsi di cosa potevamo provare noi, mosche sulla sua pelle sottile che rabbrividiva.

Be', è ciò che desideravo. Cibo buono. In aggiunta una profondità personale. L'opportunità di mettermi in mostra come uno dei medici di grido per le nano-epidemie.

E una possibilità di uscire dalla cupola.

Quelle enclavi di purezza maculavano il mondo come le bolle di plastica messe sopra le vaccinazioni contro il vaiolo negli anni '50 del novecento, di modo che i bambini non riuscissero a togliere troppo presto la crosta. Mi ero imbattuta in questa piccola leccornia strana mentre svolgevo ricerche per le epidemie. Mi sentivo come parte di un vaccino contro i disastri nano-tecnologici del recente passato, quei disastri che ancora non erano terminati. Come dovevamo ancora imparare. Spasimavo dal desiderio di riuscire ad essere d'aiuto per far sì che tutto fosse abbastanza sicuro da poter rimuovere le maledette cupole, quelle tristi barriere ellissoidali contro il cielo e le stelle e contro tutto ciò che pensavo come Vita.

Infine dissero di andare. Si pensa che la medicina sia tutta I.G. Cioè ingegneria genetica e lo pensavo anch'io. Inalanti in cui il DNA correva al salvataggio su destrieri virali. Aspetta di essere in aperta campagna. Lontano da noi. Lontano dai Collegamenti... la comunicazione avveniva con un tocco a quel punto, ma migliore di adesso! Devo dirvi che sono una donna anziana. Dipende dalla vostra definizione di anziano, naturalmente, ma sono nata prima del millennio, 1999, e adesso sono... Potrebbe essere? Oh, sto solo prendendovi in giro, era, veramente, il duemila. Novantatre. 2093. E questo accadde quando era una giovane presuntuosa, come potrebbe dire il nonno di Thurber, invischiata nella FOR, Fibrillazione delle Onde Radio, e nella Grande Paura, e mi ritrovai là, sola e senza supporto medico (oh, non c'erano nemmeno pazienti volontari, così non è che la cosa avesse molta importanza) e senza neanche la mozzarella fresca, se mai ce n'è stata un po'. Almeno ora ho quest'ultima. Forse era quello che desideravo maggiormente.

Io non divago, appoggiate l'orecchio a quello che ora dovrebbe passare per il cuore, la radio. Se la tecnologia è la stessa di ora e la fibrillazione è cessata da poco, usate l'infrabarra viola. Vi da lo schermo corretto, poi programmate nel codice CT2.1 per la sintonia automatica di precisione. Non so quale colore e quale forma possa prendere l'accesso alle onde radio, più avanti lungo la strada, e perciò ho comunque preparato questa nano-forma aviotrasmessa... dubito, dubito che venga mai respirata da altri umani, data la mia posizione remota, ma se dovesse succedere imparereste come abbia combattuto la Grande Epidemia di Centro Secolo e come abbia perso, come è successo a tutti gli altri, presumo. E se non è troppo tardi per voi (dovrebbe saltellare per sempre nell'etere), alla fine del file di trasmissione darò le indicazioni sul come trovarmi e una mappa se mai sarà inalata, in quanto adoro le visite. Veramente. Almeno, penso di adorarle. Per favore, per favore, venite a trovarmi. La lancio attraverso l'aria con frequenza, direttamente, senza preoccupazione per possibili vandali in cerca di tutto ciò che conosco di più di voi e, se io non conosco di più di voi, di certo voi siete più gentili di coloro che conoscono di meno, in quanto credo che l'informazione aumenti la compassione. Concedi le proprie fantasie ad una giovane-vecchia donna. Coltivo del basilico, per inciso, in un pezzetto di terra fuori della porta della mia baracca e del cilantro e gruppi di papaveri che prosperano nell'estate lunga e fresca. Ulteriori indicazioni in seguito. Procedere. Beep! (Mi spiace, ma si diventa ridicoli con soltanto un cane per compagnia, per quanto geneticamente modificato possa essere).

E parlando di cose ridicole, quei satelliti che facevano cadere l'informazione sopra di noi come pioggia sciocca, lasciate che ve lo dica, sciocca perché non ci si può fare affidamento. Ma su di me potete contare. Pane fatto col lievito vero e io coltivo e macino e cuocio la mia soia e faccio il tofu così potete vedere che io sono l'articolo originale. Prima di tutto le proteine! Forza! Aumentare il guadagno e forse sarebbe d'aiuto.

Comunque, tornando al viaggio da L.A. a Columbus, il mio maglev arrivò alla vostra stazione con una settimana di ritardo ed io era felice e sollevata di arrivare laggiù dato che l'ultimo maglev era esploso da qualche parte nell'est del Kansas (lo seppi dopo aver lasciato L.A.) e poi mi dettero gli sheet sbagliati.

Loro? No. Non è esatto. Sì, lo so, e tu sai che lo so, e altre cose le saprai se vai avanti. Ma a beneficio degli altri ascoltatori... per i posteri, sai...

Oh, lo so che suona come un incubo, ciò che a quel tempo temevamo tutti, gli sheet sbagliati, ma non era così brutto come sembra. Mi colmarono di concetti legati alla frontiera. Quei nanosheet stupendamente chiari con le infoluci lampeggiati mi insegnarono a coltivare il grano quando la marea dell'inondazione del Great Miami River si ritirò e altre informazioni molto più adatte alla mia situazione odierna di qualsiasi altra cosa abbia mai imparato a L.A., per quanto possa essere stata accelerata, e così non posso lamentarmi. Quegli sheet sbagliati mi aiutarono a sopravvivere quaggiù e se non fossi stata tanto cinica avrebbero potuto fare di me una mistica. Aumentarono la mia empatia verso la strana popolazione di reietti che ero venuta ad aiutare anche se la gente di Columbus non voleva per niente il mio aiuto, non da quelli come me, il nemico nanotech. L'empatia degli sheet era particolarmente interessante dopo essere vissuta per tutta la vita protetta da una cupola con la profondità culturale della vostra IA tipica, incestuosa intelligentemente e tutta proiettata verso l'interno. Per questo puoi vedere perché ami tanto il cielo e perché mi sieda proprio sotto una cresta, rivolta a sud, lontano dai venti più forti e più freddi. Il mio codice sinaptico aveva uno o due pezzetti sbagliati, su un miliardo, ma quel giorno mi sentivo male, col naso che colava, così pensai che il virus aveva qualcosa a che vedere con la mia piccola lezione di storia, perché imparai cose sul frumento e su come i miei avi sopravvissero nelle profondità dei boschi, e i rudimenti sul come costruirsi una radio nella mansarda come fossi un ragazzo nell'Ohio di metà secolo. Almeno era ciò che allora pensavo ed è per questo che pensai che le scenette di Thurber facessero di colpo parte della mia testa. Ora, naturalmente, sappiamo che è diverso. E uno di noi lo sapeva nel momento in cui accadde. Tutto è andato per il meglio, comunque, non mi lamento!

Ma vedo che tu desideri gente reale, ambienti reali e cose accadute realmente, non le ruminazioni di una vecchia signora (a dire la verità, ora, appaio più giovane di quanto non lo apparissi prima e naturalmente lo stesso è per te, tutto nuovo e stirato, che emergi dal tuo bozzolo. Il bufalo selvaggio potrebbe chiamarmi la donna della medicina e piegarsi sulle proprie ginocchia lanuginose e i Puritani mi chiamerebbero strega e gli indiani pomo mi chiamerebbero genio visionario. Lo so perché quando le bufere mi circondano di biancore, a volte chiamo mio nonno e discutiamo di queste materie ponderose e vorrei che avesse ancora una bocca con cui mangiare latticello di bufala e pane di farina gialla).

Forse qua mi piace talmente tanto perché è tutto al limite: il limite di un clima di sopravvivenza, il limite di me stessa, abbastanza affilato, più affilato forse di quanto avevi patteggiato. Temo che un diverso limite non sia neppure lontano, per te. Sì, sì, l'epidemia. Fammi mettere un altro ceppo nella stufa. (Scricchiolio di braci, piaggia di scintille arancione che volavo verso l'alto.) Ho portato col bufalo questo ceppo, su dal passo in alto, acciuffato il mese scorso dal Pointed Fir Lodge, un retro-hotel vuoto nella zona sciistica. Ha un camino di pietra così grosso da contenere l'intero capanno. Forse una volta potremmo incontrarci là, all'alba, quando il lago blu è immobile e di colpo si sollevano le anatre, con urla selvagge, dalle canne sulla riva lontana. Là c'è un enorme capannone pieno di tronchi circondati da vari aiuti meccanici per spostarli. Gli ospiti dovevano avere il loro spettacolo e la portineria ci aveva messo un centinaio di tronchi di questo tipo. Questo gigante è stagionato e perfetto, come tutti gli altri, non è marcio, e richiede solo di essere tagliato ad una lunghezza di sessanta centimetri e spaccato. Dico solo, ma ho scovato delle interessanti soluzioni meccaniche a questo problema. I cunei sono molto d'aiuto.

Mentre brucia mi ricordo del primo ceppo, che si trovava a posto, pronto per il camino nella portineria quasi deserta. Tirai Mildred che avevo appena liberata e che recalcitrava lungo le scale, il rumore sordo dei suoi zoccoli nell'atrio echeggiava dalle travi di legno sgrossato tre piani più in alto. La luce dorata entrava dalle tante finestre. Mi sentivo così viva mentre legavo il tronco, lo assicuravo alla sua bardatura, urlavo Hyah! e lei si avviava fuori della porta. Dietro all'albergo presso il capannone dei tronchi c'era il grosso argano che usavano per manovrare i tronchi e lo misi sul carro. Certo, la mia baracca è circondata dalla foresta, una foresta fitta e matura, ma abbattere un albero comporta molta più fatica di quanto si possa pensare. Inoltre questo tronco è sempre lo stesso tronco, il primo. Quando lo brucio, brucio quel viaggio solitario da Columbus sul treno vuoto. Piansi molto durante quel viaggio. La città vuota era l'ultima fermata che il treno meccanizzato fece quando fuggii da Columbus impazzita e ho un pranzo di ricorrenza là una volta all'anno, il 23 aprile, con I.G. che si allunga ai miei piedi mentre guardo il lago azzurro, bevo una bottiglia di vino di valore inestimabile mentre la luce della candela lampeggia dal pino inciso sul bicchiere da vino e desidero che Tu scenda dal treno che è ancora perfettamente funzionante. Arriva annualmente in quella notte (tranne che per un anno, che non è passato quando, probabilmente, si trovava su un raccordo per ripararsi) alle 9 e 28. Hai capito il mio scopo?

Naturalmente sarei potuta rimanere nella vecchia località turistica, ma il fabbricato era abbastanza malridotto in quanto le finestre non erano auto riparanti e poi era semplicemente troppo grosso. Comunque i tramonti erano gloriosi e sentivo il bisogno di Te per condividerli. Così dopo aver cercato per la città ho scoperto Mildred che muggiva in un campo, sola ma con tanto da mangiare. Evidentemente serviva a tirare una slitta per turisti; la trovai in una stalla. Naturalmente I.G. entrò appena possibile e venne fuori con i primi finimenti che trovai, era ancora una vitella adolescente a quel tempo. Mi sorpresi del fatto che ci fosse solo una persona morta in città, una giovane donna il cui cartellino diceva Alice Stamhall e che era crollata dietro al bancone della reception, morta, anche se in qualche modo conservata dal freddo. Penso che fosse la proprietaria. La licenza era a suo nome. Sembrava che tutti i turisti avessero deciso di correre a casa per morire o impazzire e quelli del posto erano semplicemente scomparsi.

La mattina successiva la nostra compagnia di tre elementi lasciò la città. Mildred tirava un carro pieno di scorte, attrezzi e con il tronco… All'alba l'aria odorava del lago e i pini erano verde scuro e le loro ombre mosse dal vento danzavano sulla strada piena di rifiuti. Sentii delle creature minute correre via strisciando sopra gli aghi secchi mentre passavamo.

Prendemmo la strada verso nord fuori della città (vedi, non sono avara di indizi) e ci dirigemmo verso casa, ciò che era diventata casa, come se questa meta improbabile fosse in qualche modo impressa in me e mi chiamasse attraverso la foresta fitta e al di sopra di passi di montagna spropositatamente alti: dai, dai, per favore! I tramonti sono color pesca e d'oro, dietro, il cielo, a volte si fa verde brillante mentre Venere prende fuoco dal sole. Là. Ora la stufa è calda, sono contenta per ora. D'inverno gelo il pesce, sul Lago Passo, lucci. Sono messa bene e qui possiamo vivere abbastanza bene. Io ci riesco.

Comunque devo avvertirti, sono bene armata e ho messo fuori gioco alcuni te, sfortunatamente... ma non erano i Veri Te e non ho ucciso nessuno di loro (tranne uno) li ho solo sufficientemente impauriti. Credi a me, Tu. Mai. Nessuno. Be', solo quello, che era proprio lontano dall'essere un vero te. Ho un'arma che non uccide. A meno che...

Ah, tu stai pensando che... non preoccuparti. Per favore, credimi. Sì.

Caro. Tu. Come solito, come sempre c'è una Cultura Antica e il desiderio ardente di essa. Non possiamo neppure credere che se ne sia andata, proviamo a soffermarci su di essa, tocchiamo il suo fuoco morente. Le nostre non erano tanto antiche e lunghe come le dinastie cinesi, le nostre erano un semplice bip. Ma in intensità, nella luce lampeggiante di ciò-che-gli-umani-possono-conoscere e che c'è di reale? siamo stati gloriosi. Ero, ed ora lo sei tu, gremiti di informazioni, con autentica informazione e perciò credimi, credimi, Tu. I miei avi erano contadini in Irlanda e nelle vaste pianure forestizzate e indianizzate dell'Ohio, e il nostro DNA è acuto, così credimi, Tu, vengo dalla terra. C'è intensità qui. Perciò fa il tentativo. Ti amo e so realmente cosa sia l'amore. A volte non è rivolto solo verso le persone, sai. A volte è per la Vita.

Ecco.
 



 
 

Ero atterrita ed euforica l'istante in cui la mia carrozza si staccò da L.A. attraverso la membrana della cupola. Una missionaria della medicina, fuori nella mischia, che si allontanava da noi tanto civili, col nostro I.G., la nostra Felicità, la nostra informazione tramite polline e i recettori ferormonali con cui trasmettere in modo perfetto e preciso l'informazione. A volte i recettori quaggiù sono terribilmente affamati. Dopo tutto possono assorbire la maggior parte dell'informazione in modo molto più preciso e più veloce di qualsiasi altro metodo. Eppure non prendo in considerazione il fatto di tornare, anche se qualcosa deve essere rimasto delle cupole. Credo.

Stavo lasciando L.A. per svolgere un ministero presso la gente primitiva che ci eravamo lasciati indietro dopo la nostra conversione alle Città-Fiore. Quant'ero magnanima! Avevo sentito dire che non volevano aiuto, ma li ignorai come ogni buon missionario. Fuori delle cupole le nano-epidemie regnavano sovrane, resti delle Guerre Informatiche, portate in giro a nugoli, a volte dilavate superficialmente dalla pioggia. Le epidemie distorcevano inopinatamente tutti coloro che si rifiutavano di lasciare la pioggia per riunirsi nelle Città-Fiore, coloro che rifiutavano le nostre inoculazioni che noi stessi riconoscevamo essere limitate per cercare di mantenerli mezzo protetti, per proteggere almeno un po' la linea batteriologica. Quello che veniva giù era una vera pioggia di storie su cosa succedeva. Einstein poteva sbocciarti dentro, l'Ultimo Teorema di Format ti si poteva svelare con sorprendente chiarezza, precipitandoti lungo un tunnel turbinante nell'occhio del ciclone della Realtà, ma senza supporto, alla fin fine, ti saresti dimenticato di mangiare. E poteva anche essere peggio. Le epidemie di violenza erano state, naturalmente, molto più popolari delle epidemie di pensiero profondo, ma come facevo io a sapere che c'era a bordo un'epidemia di Pensiero Confuso della Frontiera, in cui Thurber infilzava Salvador Dalì nel contrapporre l'educazione di Dalì con la propria, dove quegli strati di osservazione interessata ma obiettiva e l'accettazione e la fede in qualche bontà essenziale della vita rendevano la vittima praticamente inerme, anche se perpetuamente divertita?

Come dico, poteva andare peggio.

Il viaggio fino a Columbus durò tre volte di più di quanto previsto. Solo due treni all'anno facevano il circuito orientale e noi fummo istruiti in modo estensivo sui piani di disastro. Fummo bloccati più di una volta da cittadini arrabbiati. Mentre sfrecciavamo a 200 all'ora per il Nord America assorbivo le praterie dorate, le torri di pietra rossa che avevo scalato in virtuale, i paesi fantasma e le città fantasma della nostra grande e passata nazione. Nella carrozza ristorante mangiavamo ostriche d'allevamento e carne bovina dalle vasche. Mentre sorseggiavamo il vino da bicchieri di cristallo infrangibili ci scambiavamo le voci che l'addetto del genio era passato sopra a più di un protestante, era una routine. Mi chiedevo cosa avessero da protestare? Un'esplosione scosse il treno proprio fuori Denver. Sentii il tremito nella mia cuccetta perché non era in linea con un viaggio tanto scorrevole. Scoprii poi che avevano semplicemente lasciato cadere le ultime sette carrozze che erano state danneggiate (ho sentito che eravamo un centinaio di carrozze in tutto e di sicuro era un viaggio che scoraggiava cercar di andare da un capo all'altro del treno, dopo un po' le carrozze iniziano a ripetersi e diventa noioso) e continuammo ad avanzare attraverso la notte luminosa come diamante. Nella cuccetta stavo supina e per la prima volta guardavo alle stelle senza cupola, con soltanto uno strato sottile di vetro tra me e il cielo notturno. Forse potresti capire il perché io non voglia cercare di trovare la mia strada per tornare alla cupola. Qui le stelle bruciano per me ogni notte e sorpassano qualsiasi meraviglia che la civiltà abbia da offrirmi, per me almeno.

Le rotaie non producevano suoni in quanto erano un pezzo unico; cresciute; ma la mia testa faceva rumore, il mio cuore faceva rumore, come se una specie nuova di sangue vi fluisse dentro. Mi stavo dirigendo verso di Te e lo sentivo anche allora ed ero giovane. Ma non tanto giovane rispetto ad ora.

Un altro ceppo. Metto un guanto per riparare la mano mentre lo spingo tra gli altri ceppi che si stanno disgregando; mi avvio per un attimo sul portico di fronte e I.G. mi spinge alle cosce perché vuole fare una corsa. Stupido cane, penso, no, sono occupata e lei agita la coda e si siede, solleva il naso e annusa l'aria in cerca di Te. Sì, anche lei sa di Te. Le ho detto di Te nel linguaggio ferormonale che lei capisce. E ti ho alloggiata in modo indelebile ferormonalmente nel mio DNA, uno di quei piccoli benefici dalle Città Fiore di cui tu diffidavi e che disprezzavi. Un vento frigido solleva il pelo scuro di I.G., e gela quello che ho lasciato scoperto del viso dopo averlo avvolto con una sciarpa. I crinali sono come onde, tutto attorno a me, ombre mutevoli e nere nella notte e le stelle mi ricordano di Te. Amo la vista dello spazio qui, più di ogni altra cosa.

Stai venendo? Temo che non lo farai, se Ti dico dell'altro, ma devo; gli sheet mi infusero con la paventata onestà della frontiera, proprio la fonte di tutti i miei problemi, lasciamelo dire. Senza dubbio proverai confusione al risveglio. Incrocio le braccia al petto e non posso rinunciare a restare sul portico anche se il naso incomincia a bruciarmi per il freddo, in attesa che tu possa venire camminando lungo la strada sporca, la mia voce di colpo nella tua mente, te lo detto non è vero, e ti ho dato i numeri? Per favore. Almeno per una notte o due, non ritornarti per nessun motivo è pericoloso una volta che sei fuori Banff, il tempo è incerto, abbastanza sorprendentemente ci sono leoni di montagna, grizzly dorati e tu hai bisogno di riposo. Non ti tratterrò se non vorrai restare. Non sto scherzando sugli animali ma sai quanto me che sono le tue preoccupazioni minori. Lesioni ed epidemie saranno le prime, statisticamente parlando, se i miei antidoti non prendono e sospetto che sia passato talmente tanto tempo che non ci riusciranno. Ma ci sono altre ragioni per cui potresti non arrivare, suppongo.

Sul portico di legno mi volto per guardare dentro: vedi? Un plaid rosso è gettato sulla poltrona, posso essere concreta se insisti, una poltrona verde scuro del colore del Lago Passo, sessanta metri più sotto (uno dei colori preferiti a Pointed Fir). Scintille di fuoco color arancio e blu all'interno dello sportello in vetro arcuato della stufa di ghisa, e sopra ci sto cucinando la zuppa di soia. Non arricciare il naso. E' deliziosa. Assi di cedro con occhi dorati immobili mi scaldano e mi completano, almeno un po'. Così facile da trovare, la precisione stessa, se sai come leggere tanto per dire. Ed io ho la cura per tutte le Epidemie, e per molte delle cose che causano la vecchiaia (sembra che funzionino anche su I.G. e su Mildred, il che mi sorprende maledettamente), che ti amministrerei se tu fossi compatibile, ma non potrebbe renderti compatibile, quello è qualcosa che solo i bozzoli possono fare ed è per questo che devo stare attenta. Per favore assicurati di essere compatibile prima di fare tutta questa strada. Uno di voi sentirebbe la compatibilità come un grosso cambiamento, un sollevarsi dell'oscurità. Un altro si sentirebbe immutato. Tu sapevi che avevo le cure da molto tempo, da così tanto tempo, tanto peggio. Se le cose avranno funzionato, comunque, ormai le hai. Ho cercato di amministrarle prima di avvolgerti, in mezzo a tutto il panico per la diga che si rompeva, ma come potrai o non potrai ricordare, distruggesti tutte quelle che potevi. Per semplice ripicca. Uno di voi lo fece e tu naturalmente sapevi chi. Non è che stia cercando di iniziare a litigare. Mi scuso per non esser riuscita a comprendere meglio le dinamiche. Ma non penso che nessuno di voi le comprendesse, così perché avrei dovuto farlo io?

Ho abbondanza di caffè, comunque, proveniente dal Pointed Fir Lodge. Alla fine la scorta dovrà pur terminare, ma Alice s'era preparata per una stagione strepitosa.
 



 
 

E così il treno raggiunse Columbus. Ci fermammo alla cupola di Cincinnati e lasciammo quindici carrozze ma io non scesi dal treno; mi avevano consigliato di non farlo in quanto Cincinnati si trovava su un sistema leggermente differente rispetto a quello di L.A. che avrebbe potuto uccidermi o nella migliore delle ipotesi farmi ammalare. Avevo sentito delle voci sul fatto che la loro cupola non ci sarebbe stata più per molto; avevano escogitato un sistema senza cupole. Bravi, dissi, senza crederci. Ma io ero stata immunizzata per Columbus che era senza cupola, ma solo per Columbus, anche se avevo funzionalità 6 il che voleva dire protezione per me... se mai avesse tenuto, il che era da dubitare. L'immunizzazione garantita dalla 6 dovunque andassi era solo una questione di verifica e di sheet adatti forniti dalle autorità locali. Ma questo presupponeva, naturalmente, l'esistenza di autorità locali e la definizione di sheet adatti era diventata per allora una cosa vaga, di sicuro era andata alla deriva. Mi ritrovavo in mezzo alla natura selvaggia da sola e pregustavo la cosa.

Che scherzo che erano tutte quelle sciocchezze! In quanto a Columbus... ma perché lamentarsi di ciò che accadde là? Mi desti le mappe che mi hanno portato qua, sotto i cieli di diamante a cui mi sono legata una volta che mi sono spinta abbastanza a nord, hai visto le Pleiadi? Sono le mie favorite le Sette Sorelle le mie vere Sorelle anche se so benissimo che sono solo onde radio, gas incandescenti, i manufatti della nostra nascita la cui luce esiste solamente. Le stelle verso cui Tu potresti viaggiare, tutti i tu, se ti risveglierai in qualche altra epoca, e se fossi tanto male indirizzato da viaggiare attraverso lo spazio invece di venire qui, potresti benissimo non essere nato. O potresti essere morto molto tempo fa.

Che strano!

Ma poi anche il mio cuore, per Te, è incandescente e forse in un'onda non nata, in fibrillazione delle onde radio. Eppure egoisticamente spero che tu non dubiti che io sia veramente qua, lascia che ti dica altro, lascia che ti dica come mi piego nella breve primavera per strappare le erbacce appena nate dai solchi della soia. La lattuga e i piselli crescono bene qua perché è molto fresco; mangio la lattuga prima che arrivi a casa e i piselli che sopravvivono alla mia golosità per cose verdi e dolci si seccano su larghi supporti. La soia ha baccelli verdi e pelosi: li faccio bollire interi poi sprizzo fuori i semi che sono tremendamente deliziosi. Il capanno è stato costruito da altri, non da me; si chiamava Peter Johnson e spesso lo ringrazio. La sua vita virtuale è qui anche se non mi interessa molto, comunque non lo cancello e per rispetto lo lascio, anche se in forma compressa. A volte salta fuori dalle pareti per unirsi al Nonno e tutti assieme discutiamo delle strutture profonde dello spaziotempo e ci dimentichiamo che sono tutti e due morti mentre mescolo la zuppa e attizzo il fuoco. Forse non lo sono. Cioè morti, in quanto la morte cosa è? Una volta o l'altra devi dirmelo se pensi di saperlo, in quanto dovresti essere stato nello stesso posto dove sono loro, più o meno, tranne che ho previsto di fare in modo che avessi un corpo al tuo risveglio. Sono a portata di mano. Il Nonno e Peter spesso si lamentano con amarezza per il fatto d'essere limitati a questo capanno.

Alcune estati sono state molto più fredde e penso che debba lasciare il mio paradiso splendente e smettere di aspettarTi qui, ma non ci sono mai state due estati brutte in fila e quando entro in depressione per le verdure che non crescono, arrivo fino a Flin Flon, con una certa cautela, e il massimo di vita che riesco a rintracciare con gli infrarossi viene da animali selvatici e non dagli umani. Prendo tutto ciò che posso dai magazzini inesauribili di congelati e di disidratati dell'hotel su un carro tirato da Mildred. Ti sei convinto? Sono sola, questo è quanto. Il soffio del vento che non sperimentammo mai nella cupola, che mi fa sentire così viva, è sufficiente a tenermi qua. Questa bellezza è tagliente. Desidero ardentemente condividerla.

°°°°°°°

Ebbene. A Columbus le porte del treno si spalancarono ed io fui l'unica a scendere, la sola inizializzata in modo appropriato, gli altri passeggeri proseguivano su Toronto, NYC. Scesi dal treno.

Dopo il primo sospiro di sorpresa barcollai sotto il cielo blu, danzai, risi e corsi per molti marciapiedi vuoti e qui per te la cosa diventa concreta, è attuale: Mildred. Amo il mio bufalo d'acqua e dipendo da lei, ma non quanto dipendessi dalla mia Mildred originale, che mi correva dietro, ridendo. Appartieni a lei? Voglio parlare di Te come se non stessi ascoltando, perché le probabilità sono molto a sfavore. Qualcuno totalmente estraneo potrebbe stare ad ascoltare ed è per questo motivo che sono un po' elusiva. Oppure, e questo è forse più probabile, potrebbe non esserci nessuno.

I capelli di Mildred erano biondi e arrivavano alla vita, sottili come seta di mais. Quel giorno erano sciolti e il vento li sollevò. Aveva gli occhi spalancati, quell'ombra curiosa di blu che vi scorsi quell'estate si adattava alla speronella nel giardino di sua madre. Disse che era norvegese, quando glielo chiesi, al di sopra di un caffè, in un piccolo negozio che ci aveva deluso per non avere mozzarelle ma che rispose alle mie aspettative col cappuccino, di cui ancora sento la mancanza, della cerimonia di preparazione. Una volta ogni tanto frugo per la grossa cucina del Pointed Fir Lodge per cercare di trovare un bollitore da stufa, ma c'è solo una macchina massiccia e tutta ornata nel salone, elettrica.

Mildred, a quel tempo, non amava più molto Don, suo marito, anche se ancora non lo aveva realizzato. Fu lui a prepararmi gli sheet sbagliati, e fu Mildred che mi aiutò ad usarli. Ma fu quasi un boomerang.

"Salve, Dottor Chang," disse Don, incontrandomi attraverso i binari. Quando si fermò mi osservò per un lungo minuto come se fosse sorpreso. Be', apparentemente lo era. Si era aspettato un uomo, non sono sicura sul perché e sul perché questo facesse tanta differenza per lui. La comunicazione non era strepitosa in quei tempi, anche se era molto meglio di adesso. Aveva dei capelli rossi molto corti era quasi calvo. Sul viso lungo aveva dei piccoli baffi che mi colpirono per essere abbastanza spiacevoli. I suoi occhi marroni erano tanto stretti quanto aperti fossero quelli di Mildred. Cercai di sentirmi entusiasta per il mio nuovo collega. Dagli tempo, pensai.

"Ti aspettavamo. Il tuo treno è molto in ritardo," disse, riprendendosi dalla sua immobilizzazione, poi sorrise in un modo che mi impaurì, ma i tranquilli occhi blu di Mildred mi colpirono e mi placarono. In piedi accanto a Don in un sottile parka di color verde brillante, aperto in quanto era Marzo e si stava facendo sempre più tiepido, si fece avanti per stringermi la mano dopo una piccola e strana esitazione durante la quale ebbi la strana sensazione che stesse per stringermi tra le braccia, forte.

"Il tuo bagaglio arriverà a casa nostra," disse Mildred.

"Grazie," dissi, sollevata per tutti i nano che c'erano dentro, per tutti i miei materiali da ricerca. Erano stati impacchettati in previsione di un numero infinito di catastrofi, qualsiasi altra cosa sarebbe stata terribilmente irresponsabile.

"Hai fame?" chiese Mildred.

Scossi la testa, "Abbiamo fatto colazione da poco," risposi.

"Benissimo, allora," disse Don, ovviamente soddisfatto. "Ci sono solo pochi isolati per l'ospedale, e potrai avere là i tuoi sheet."

"Sì, prima è e meglio è," dissi, eccitata. Desideravo sapere tutto di questo posto nuovo, dei miei nuovi pazienti; desideravo scoprire quanti erano i sopravvissuti tra la popolazione locale per ogni ondata di infezione, e come erano stati colpiti i sopravvissuti. Questo, ed altro, lo avrei trovato negli sheet.

Camminavano proprio veloci lungo il marciapiede. Sulle strade vedevo ogni tipo di veicolo, cavalli, carrozze trainate da cavalli e molte biciclette. Vidi solo una macchina elettrica, minuta e scassata e gialla, e poi scoprii che apparteneva a Tolliver Townsby, l'uomo che possedeva anche l'Ice Cream Parlor. Fui di colpo in un'altra era, quella che tanto desideravo.

"Dov'è tutta la gente?" chiesi, abituata alla saturazione delle cupole. Ai miei fianchi Don e Mildred si guardarono. "La nostra popolazione, inclusa la contea, arriva a quindicimila," disse Mildred con gentilezza.

"Oh," feci. Molto meno di quanto mi aspettassi. Gli sheet verso cui ci stavamo dirigendo mi avrebbero evitato di fare queste domande sciocche.

Passammo di fronte a molti negozi lungo il vecchio corso, con grosse vetrine e una quantità indispensabile di avventori. Thompson's Feed and Seed, Elya's Organic Feast, The Snyder Cafe, era una comunità di contadini, sul serio, un organismo completamente auto-sufficiente che ora ammiro enormemente. Al di sopra della linea dei negozi si levavano alti e antiquati i grattacieli, completamente vuoti. Sul momento rimasi colpita. Dov'erano gli italiani, mi chiedevo, ma avevo vergogna a chiederlo. Don e Mildred ricevevano cenni e saluti da ogni persona che incrociavano lungo tutta la camminata per i cinque isolati.

Poi arrivammo all'ospedale dove presero i bozzoli ed è là che feci la conoscenza casuale di Thurber, coi suoi ritratti buffi di donne ottuse e arrabbiate e uomini intimiditi con nasi grossi e occhi piccoli. Sua nonna che credeva che l'elettricità uscisse fuori dalle prese il che in qualche modo posso capirlo, io stessa, quando vidi realmente i bozzoli dopo essere passata per un palazzo che credevo semplicemente che oggigiorno non potesse più esistere, mi fermai. Il mio cuore è stato avvolto da un brivido leggero? Forse, ma non lo ricordo. Ricordo della trepidazione.

I bozzoli erano vecchi, nel piano più alto dell'ospedale quasi deserto, alla fine della vecchia sala grigiastra che non era stata cresciuta ma costruita, con ogni probabilità una cinquantina di anni prima. I sociologi a L.A. mi avevano detto che io non sarei riuscita a comprendere l'orgoglio che la cosa avrebbe significato e a quel punto, fissando i bozzoli che Don e Mildred mi mostravano con decoro e reverenza, realizzai che i sociologi avevano ragione e mi chiesi quali altri buoni consigli avrei potuto ignorare. Anche se l'ospedale odorava di disinfettante le pareti erano sudice e questa stanza non brillava quietamente di quei nano pulitori a cui ero abituata. Era illuminata da una semplice lampadina con tubi che si intrecciavano sul soffitto con un vecchio sistema anti incendio. Gli stessi bozzoli mi riempivano di una commozione strana, in quanto nel momento stesso in cui li vidi capii quanto indietro nel tempo mi ritrovassi rispetto a L.A. Ce n'erano quattro. Avevano l'aspetto di uno dei modelli originali e con ogni probabilità la città li aveva acquistati durante l'ondata iniziale di fede, quando si pensava che i nano potessero curare ogni cosa. Lo stile era inconfondibile, la curva del bozzolo, la visibilità dei computer antiquati che li regolavano, piccoli apparati a cristalli sui ripiani superiori, connessi ai bozzoli con dei cavi. Una delizia da antiquari, il genere di cose che trovi in mostra negli appartamenti o nei musei. Mi chiesi quali programmi ormai abbandonati girassero in quei cristalli. Mi sarei dovuta chiedere molto di più. In quanto l'ospedale stesso mi sconcertava per la sua età.

Una delle cose che avevo imparato era quanto non fossi gradita ai nativi. Comunque guardavo Don e mi chiedevo, sono stata programmata con cura per non essere prevenuta su questa cosa? Be', quella parte funzionò un po' troppo bene, devo dire. I nativi avevano delle buone ragioni per il rifiuto. I nano avevano devastato la maggior parte del paese con ogni tipo di vettore.

"Sei sicuro che...?" chiesi e Don mi guardò in maniera esasperata con sopracciglia scure e pelose, Mildred dietro di lui un po' più ansiosa. "La nostra popolazione è... differente da quella di L.A., dottor Chang," disse, il volto incupito. "Sarei il primo a riconoscere quanto siamo in realtà rurali, quanto ancora indietro. Ma ho fatto io personalmente i controlli..."

"Bene, bene," dissi, con troppa fretta, per favore rammenta e smetti di ridere per la mia idiozia in quanto non sono mai stata fuori della città e non conosco niente, direttamente. L'inforam non entra in gioco finché non tocchi con mano. Per dirla chiaramente, potresti benissimo non sapere che hai immagazzinato le opere di Back fino a quando non ti siedi di fronte ad un organo e non vengono fuori tutte, perfettamente. No, non sapevo niente di Thurber, delle Grandi Pianure o delle paure particolari di Don. Non sapevo neppure come sospettarle o arguirle, né che avrei dovuto farlo. Mildred era sposata con Don e lo faceva, ma non lo sospettava di perfidia; avrei imparato che non era una possibilità emotiva per lei. E l'azione di lui sorse dall'orgoglio, dalla rabbia per il fatto che un dottorino fosse stato inviato con tutta quella autorità e competenza, anche se ero dieci anni più giovane di lui, e dalla paura che conoscessi molte più cose di lui, il che era assolutamente vero. Se avessi avuto una qualche specie di preparazione nel districarmi delicatamente tra gli ego di coloro che hanno più (o meno) a cuore la semplice salvezza dell'umanità, avrei potuto essere più cauta.

Don uscì e Mildred fece qualche aggiustamento ai cristalli, silenziosa con una concentrazione da tecnico. Sorrise e mi strinse le spalle, poi rimasi sola nella stanza calda e secca e mi staccai la tuta a pelle e entrai nel bozzolo. Mi allungai e sentii la stretta familiare mentre si modellava attorno a me e fui soddisfatta dal codice logico sfocato che lampeggiava sulla mia retina per il fatto che questo bozzolo, gli sheet di Don e il mio sistema internalizzato fossero compatibili. Ci fu bisogno di un inibitore di varie barriere biochimiche pre-inserite ed io ubbidii. L'impercettibile lampeggio di una luce gialla mi informò che sebbene qualcosa fosse andato impercettibilmente male, la parità era quasi vicina, quasi vicina alla funzionalità ed io l'imputai alla mancanza di sofisticazione da parte del bozzolo. Ha!

Il giorno dopo aprii gli occhi cambiata enormemente, in uno spirito veramente buono. Fissai i tubi sopra di me e seppi che un giorno a Columbus verso il 1910 o giù di lì, si diffuse la voce falsa che la diga fosse saltata e vidi i disegni fatti con linee veloci da Thurber di cittadini di Columbus tozzi e arrotondati che scarpinavano fuori della città a branchi. Seppi che la sua famiglia aveva un terrier airedale di nome Matt che mordeva un sacco di persone. La storia mi fece guaire sul serio (il gioco di parole non era voluto) in quanto avevo sempre desiderato avere un cane (ed ora ho te, magnifica I.G. e anche tu hai forti mascelle! e uno o due te (quelli sbagliati) potrebbero essere stati morsi da esse, lontano lungo la strada, dove non posso vedere). Tutte quelle deliziose storie di Thurber, che descrivevano in modo così amorevole Columbus, volteggiavano nella mia mente, nella mia visione, e iniziai a ridere.

Già il sapere che fossi qui, a Columbus, era sufficiente a far uscire Thurber dall'inforam. La mia risata echeggiava per tutta la grossa stanza vuota e rimbalzava lungo i tubi. La mia missione, così dura quando avevo lasciato L.A. (devi capire che ero la seconda al corso e furono estremamente contrariati dal fatto che avessi scelto di partire; avevano in mente altri scopi per me) era appannata e confusa nella mia mente, come un sogno quasi dimenticato, nel momento in cui aprii i miei occhi. Ma non era dimenticata del tutto. No, non del tutto.

E così rotolai fuori del bozzolo dopo ventiquattro ore, da sola. La luce entrava da una grossa finestra smerigliata e mi sentii a casa in questo nuovo posto e ringraziai gli sheet, in quanto mi avevano informata su tutto. Conoscevo il passato della regione e la storia medica di tutti i pazienti di Don e Mildred cosi come quella dei loro genitori e dei loro nonni. Sapevo come coltivare il frumento sulle pianure alluvionali in primavera. Se si fosse presentata una irochese, per Dio, sarei stata in grado di parlare con lei la sua lingua anche se senza questo stimolo non sarei riuscita a proferirne una parola.

Feci una doccia nel piccolo scompartimento umido col pavimento in cemento. C'erano almeno cinquanta armadietti così dedussi che c'era stato un tempo in cui i bozzoli venivano usati enormemente. Mi asciugai, indossai la tuta a pelle e la coprii coi vestiti dei nativi che qualcuno aveva prudentemente lasciato: una tuta da lavoro. Ora porto dei pantaloni che non aderiscono e camicie a quadri scozzesi dal negozio di nano-sci abbandonato a Flin Flon, che, per fortuna, era ben fornito prima che i liquidi si asciugassero con la fuga della gente del paese. Ah, che ne sapevo io delle paure della gente che viveva fuori delle cupole? Di sicuro ero abituata ad essere un laureato in medicina un tempo, ma cosa ne sapevo? Potevo curare la paura col ferormone giusto, ma prima ti occorrono i recettori, ed io dovevo avere l'equipaggiamento diagnostico, e il fer-pak. La vita è così. Ora posso aggiustare le ossa rotte, allora non avrei potuto farlo. Sapevo solo come usare un computer, è tutto, anche se potevo bloccare l'epidemia ma mi prese con la stesse facilità che prese gli altri. Solo in modo molto più breve. Mi lasciò con rispetto.

E mi piace vivere qui, tranne che per la solitudine. Va tutto per il meglio e quell'ottimismo viene da quegli sheet di Columbus. Per merito loro riesco ad essere divertita anche se non per le stranezze degli altri in quanto gli altri non ci sono più. Sono solo divertita generalmente e sono sempre pronta ad essere divertita maggiormente, anche se non a spese tue, naturalmente. E poi troveresti anche me proprio divertente, ne sono certa.

Tu?

Io sto realmente qui, reale, concreta, carne. Credimi. Se sei compatibile, potremmo avere dei bambini; sono completamente funzionante. La compatibilità non è proprio programmabile, sfortunatamente; è soprattutto una cosa ambientale. Don non era compatibile perché pensava che non lo avrebbe aiutato ad ottenere risultati, ma persone che sono compatibili si trovano sotto ogni circostanza, tranne che in certi estremi quando possono prendere l'aggressività ed è sempre indesiderabile quando accade. Ma se ti sei trasformato in compatibile, i bambini potrebbero essere interessanti. Ora, se ciò non ti alletta non sei proprio quello che sto cercando io. C'è una possibilità del cinquanta per cento che possano avere dei recettori; non so se la cosa ti sembri buona o cattiva, la cosa della linea dei gameti. Chi sa cosa potrebbe portare il domani. Io sono sempre tanto grata di avere i miei a farmi così versatile. Non sono così sola in quanto a volte il satellite che funziona saltuariamente mi da il Nonno, te l'ho detto questo, e possiamo parlare. Oltre a questo ho delle illusioni per ricreare la civiltà, solo migliore e in un modo infallibile, così ora sai che sono pazza e incapace ad imparare dalla storia. E allora? Sono umana. Se tu fossi compatibile, ti dovrebbe piacere. Non venire se non lo sei. Sono armata, te l'ho detto.

Mi innamorai di Mildred, e se sei Mildred non so cosa potresti pensare di tutto ciò, anche se non sono andata a letto con lei. Con Te. Oh, mi sto confondendo ora. Arrossisco. Be', in verità neanche ci pensai, anche se dopo le feci e molto pure, dopo non aver dato peso al suo tocco ed averla fatta piangere. Mi spiace di tutto ciò, è l'unico mio rimorso. Tutti gli altri sono solo nei miei confronti e per questo sciocchi come neutrini erranti, inutili allo stesso modo, eppure allo stesso modo potenti nel disgregamento delle comunicazioni. I suoi sentimenti erano reali e aveva bisogno di me. Forse solo una volta. Chi altro c'era, per lei? Mildred? Dovresti sapere perché ho dato il tuo nome alla mia maggiore alleata. Ti piacerebbe. Ti conosco. Dopo un anno di vita assieme a te, mia cara, ti conosco. Apparentemente quello è stato l'anno più importante della mia vita. E anche se sembro giovane, e anche se penso a fare bambini, sono vecchia. Vecchia e molto, ma molto divertita. Quanto sarebbe bello avere compagnia. Soprattutto la tua.
 



 
 

Forse sono stati gli sheet dell'Ohio ad avvicinare così tanto Mildred a me. Senza di essi tutto avrebbe potuto essere così strano per me che sarei ritornata di corsa urlando verso superfici levigate, verso l'informazione al contatto.

Lei e Don vivevano nella casa della madre di lei. Una casa a tre piani con l'intelaiatura bianca con pavimenti di quercia che pendevano. Le fondamenta erano circondate da cespugli di rose che avevano raggiunto la maturità quando Mildred era una bambina; li curava con molta attenzione ed essi producevano boccioli sfioriti che riempivano la casa con colore e fragranza dalla primavera all'autunno. Mi dava mazzi spinosi per la mia stanzetta sulla quinta strada, una stanza con soffitti alti e un'apertura di ventilazione per vapore e calore, assolutamente diversa da qualsiasi altra cosa nella cupola.

Tutti e tre ci facevamo visita a casa di uno o dell'altro la sera e ci cucinavamo e avevamo la stessa visione, pensavo, nel combattere l'epidemia. Tranne che avevamo discussioni infinite sul modo migliore di farlo. Don trovava difficile credere nell'inoculazione. Da parte sua non è che la cosa fosse completamente irrazionale, ma era l'unica soluzione provvisoria che avessimo. L'isolamento, ciò che stavano provando a Columbus, era semplicemente impossibile. Mi tollerava perché sapeva che doveva farlo. A volte lo scoprivo a fissarmi con un'espressione indecifrabile dopo un qualche scambio particolarmente acceso. Non trovavo la cosa per niente piacevole. Ma stavo cercando di forgiare una qualche connessione con lui in quanto era il mio collegamento coi suoi pazienti. Forse aveva mal interpretato i miei tentativi.

Stavamo seduti in cucine con ampie finestre spalancate sui profumi del giardino di erbe che lottava per affermarsi e sui passi di pedoni a casa mia e sull'odore dolce e pesante di rose da voi, e combattevamo su come avremmo salvato coloro che legalmente rifiutavano gli antidoti. Voi, gli esempi medici per la comunità, lo avevate fatto entrambi. Inspiegabile più che strano, pensavo, e mi sforzavo di arrivare a voi in qualche modo. Anche se la mia visione era spesso scombussolata da quei disegni buffi dalle linee arrotondate, alcuni dei quali a volte mi parlavano, posso dire che non erano reali; sono certa che Don fosse spiaciuto per il fatto che io non fossi stata resa invalida in modo serio. Per quanto poteva dire, gli sheet non avevano funzionato per niente, e invece avevano funzionato. Per me rientrava tutto nella categoria Avere A Che Fare Coi Nativi.

Come ho detto, misi su il mio nano laboratorio e dai miei semi preziosi iniziai a sintetizzare gli antidoti a tutti i possibili disastri che erano stati identificati. Li crescevo come cristalli, che si conservano bene, e mi era stato detto di usare ciò che mi circondava e così costruii un grosso ripiano di assi di quercia, le piallai e le tinsi, ridacchiando ogni tanto sul prozio di Thurber, l'unica persona che era morta per la ruggine del castagno. Non ne aveva saputo molto lui, ora probabilmente la gente poteva proprio morirne.

La madre e la nonna di Mildred avevano ammassato i barattoli in cantina per le conserve, colorati di verde pallido con le lettere "Balls" che si allungavano da una parte, e io ne riempii un centinaio e li sistemai accuratamente. Una volta ogni tanto Don si fermava e io gli mostravo con fervore i miei programmi che avevo portato con mezzi diversi (dischi, cristalli, sfere) e fortunatamente là avevano un computer che andava a cristalli, così dopo aver messo tutto in funzione gli spiegavo in qualche dettaglio la biochimica di tutta la cosa. Il fatto di trovarlo così indifferente mi sorprendeva e comunque pensavo che fosse perché erano cose che lui doveva sapere, di già. E lui le sapeva, naturalmente; ne sapeva abbastanza tanto da preparare gli sheet ma la cosa non richiedeva tante capacità, in gran parte erano auto-interpreti. Comunque faceva mostra di ignoranza, dicendo di essere troppo occupato con le regolari emergenze mediche della comunità per dedicarsi come si deve allo studio delle nano-epidemie... questo era il motivo per cui, lui diceva, era contento della mia presenza. Diceva lui. Rimaneva sempre stranamente lontano da me ed evitava qualsiasi contatto. Questo lo notavo e questo non mi disturbava, tranne che spesso i suoi occhi erano addolorati e stoici, come se un elefante si fosse posto sul suo piede e sarebbe stato di cattivo gusto fargli notare la cosa.

Tenevo i backup in luoghi diversi per la città, naturalmente: l'attico di un vecchio palazzo di una banca che aveva una porta blindata che tenevo accuratamente chiusa; gli scantinati di una vecchia pensione in cui vivevo, con un divertentissimo signore anziano, Keefer, che viveva al piano di sopra. Non venne mai a mangiare con noi, anche se lo invitavamo spesso, e non avrebbe mai toccato i nostri avanzi deliziosi.

Ci incontravamo inevitabilmente in cucina di mattina. Fumava sigarette (coltivava lui stesso il tabacco e lo vendeva) e aveva una tosse secca. Gliela potevo curare gli dissi, innocentemente, il secondo giorno e lui si fece pallido e la tazzina del caffè gli sussultò tra le mani. Se ne andò costeggiando attentamente il tavolo e fuggì dalla stanza appena arrivato in vicinanza della porta. Mi ci volle una settimana per farlo tornare assieme a me nella stessa stanza e lo rassicurai facendogli capire che mi era vietato usare dei nano su chiunque non fosse consenziente. Gli dissi, comunque, di tenersi alla lontana dagli scantinati e per Dio lo fece. Supponevo di dover stare molto attenta con tutti quei nano anche se erano tutti curativi, lo sai, era qualcosa che quella gente avrebbe dovuto avere per trattenerli dal prendere l'altra roba; era come mettere sotto chiave le vitamine, ma io prendevo il mio contratto seriamente in quanto erano possibili delle mutazioni se si fossero mescolati in modo sbagliato.

Una volta alla settimana andavo a piedi o in bicicletta lungo una vecchia statale deserta fino alla diga e prendevo dei campioni dell'acqua chiara e profonda. Durante l'inverno mi portavo un'ascia per spaccare il ghiaccio. Sotto alla diga, che era vecchia, provavo sempre paura di quella V di cemento torreggiante, perfettamente curva per controllare la pressione e l'acqua piena di epidemia in cui gli assemblatori avevano tempo di lavorare attraverso i loro limiti e scadenze prestabiliti mentre si mantenevano in una serie di chiuse. Le epidemie venivano essenzialmente dalle piogge in quei tempi ed erano virulente solo per un periodo di tempo breve, di solito poche ore, a volte dei giorni. Non scoprii nella prima chiusa niente contro cui non avrei potuto trovare un antidoto. In una emergenza non avrei esitato ad amministrarne uno. Se avessi trovato un nuovo virus, avrei creato un antidoto. Sarebbe stato interessante. Di nuovo come a scuola. Ma non trovai niente. Dopo una pioggia trovai qualcosa abbastanza pauroso, l'Infezione Fascista, con una concentrazione sette. Ma era sparita prima che si fosse riempita la seconda chiusa.

Don chiamava Stupidi la popolazione normale di Columbus e pensavo che fosse scorbutico a quel tempo, ma aveva ragione. Ho quasi paura che una compagnia di Stupidi mi trovi, mentre vado per la montagna, e mi prenda, ritenendomi una rappresentante di coloro che hanno causato tutti questi problemi. E' per questo motivo, prendetene nota Stupidi (non che ci sia un qualche pericolo che raccogliate la cosa), che sono bene armata, con delle infezioni che vanno ben al di là dei vostri sogni ignoranti. La mia arma è il mio cuore, l'ho già detto? Posso infondervi con tanti di quegli inforam che abbandonereste all'istante i vostri vecchi scopi e sogni, il che è la paura più grossa per gli Stupidi: cambiare. Mi spiace. Sono tutt'altro che gentile. La mia compassione è scivolata via, suppongo, o forse è proprio l'essere una persona anziana.

A Columbus si ammalarono veramente; il mondo li fece ammalare. Fui sorpresa nello scoprirlo anche se mi avevano messo in guardia a L.A. Non avevano immunità per le nano-epidemie e mancavano dei recettori, cosicché non potevano vivere nelle città fornite di cupola o anche crearsi una rete da uno dei nodi ancora funzionanti sparsi per il paese, solo per le notizie o cose simili. Legalmente non potevamo dare loro recettori senza il loro consenso informato. Loro non avrebbero acconsentito, anche se feci alcune conversioni: un ragazzotto che prese la magrail per L.A. subito dopo, una vecchia signora molto tranquilla che fu uccisa da una banda di giovani religionisti quando lo scoprirono (l'incosciente glielo disse, standosene in un angolo della strada, mostrando le glorie dell'inforam dopo i suoi lunghi anni bui). La piccola comunità rimase scioccata, si assemblò un gruppo di vigilanti per reazione. I religionisti scapparono, naturalmente, ma avrei desiderato ammazzare tutti quei giovanotti e signorine, o, orrore degli orrori, mettere loro degli sheet. Senza il loro consenso. Sì, pensa pure che sono orribile. Lo ero. Lo sono ancora. Suppongo d'essere stata fortunata per via del fatto che i cittadini non si rivolsero contro di me, allora, ma non credevano che avessi obbligato nessuna delle due persone. C'era un salutare rispetto per un individuo laggiù, precisamente perché temevano tanto i nano.

Thurber era su di me e spesso ridevo istericamente per una o per l'altra delle sue vignette narrative proiettate attraverso di me. Un giorno nel fare esami medici mi ritrovai con Thurber durante le Giornate di Leva, allorché fu chiamato erroneamente ogni settimana per essere esaminato per il reclutamento per la prima guerra mondiale e, alla fine, stanco, finse di essere un dottore. Sentì un orologio che qualcuno aveva ingoiato; ho sentito il dolore dell'estinzione battere all'interno di ognuno dei miei poveri cittadini orgogliosi di Columbus, che rifiutavano l'inoculazione nonostante le piogge mortali che recavano la sola forma virulenta delle nanoepidemie; perdevano di potenza dopo essere giunte a terra. Tutti rimanevano all'interno se c'era solo probabilità di pioggia. Evitavano le maschere filtro, e perché no? Una goccia sulla pelle poteva essere sufficiente. Devi comprendere. Tutti coloro che credevano veramente nella potenza delle epidemie se ne erano andati da tempo, verso le città nelle cupole, e quelli rimasti in massima parte ignoravano il problema, con la stessa facilità con cui molte persone avevano ignorato la minaccia nucleare, il buco nell'ozono e la distruzione della foresta pluviale.

Penso che Thurber fosse un isterico, come me. O che mi ci fece diventare. Quello che voglio dire è che aveva quel forte senso dell'assurdità di ogni cosa che la maggior parte delle persone sembra non avere per niente. Mancano di immaginazione; mancano del potente ingrediente emotivo dell'isteria. Perché, senza l'isteria, senza quella pazza risata che non faceva rumore sarei potuta morire io stessa, là con Don, con... Mildred? Mildred, sei Tu? Sul serio, non mi importa se non avremo bambini. Se Tu sei Mildred, era un'idea stupida. Mi mancano gli strumenti per una cosa del genere qui anche se possiamo benissimo cercarli se tu sei minimamente interessata. Se ci sono ancora delle cupole, possiamo trovarle, e preoccuparci delle cose laggiù.

Mildred, quando e se ti sveglierai, se tu ti sveglierai, e sopravviverai (in questo posso aiutarti, se non lo fanno i programmi) saprai, dovrai sapere, che io sono dovuta partire. Non potevo restare per aiutare; ho stracciato il contratto per salvarmi la vita. Ma non dare la colpa a Don per tutto questo. Se Don non mi avesse deliberatamente dato gli sheet sbagliati non sarei riuscita a cavarmela come ho fatto. Ma Thurber e Forts sull'Ohio River contro cui gli indiani hanno lanciato invano le frecce mi sono fluiti dentro, scrollando le mie convinzioni su cosa stava accadendo. I miei recettori da pioniere annusarono il pericolo e mi spinsero fuori di città. Dissero che l'elettricità esce fuori dalle prese e che il letto sta cadendo, sta cadendo sul serio. E realmente stava cadendo.

Mi ricordo del primo giorno nella clinica in cui fui realmente capace d'essere d'aiuto.

Ted Schneider spalancò di colpo la porta e spinse dentro sua madre per il braccio. Era solo un ragazzo, e il suo viso minuto e pallido appariva più disperato del solito. Apparivano tutti disperati una volta arrivati alla clinica, prima che li prendesse l'epidemia neppure i cavalli selvaggi li avrebbero trascinati dentro. Quella è una cosa che avrei potuto fare meglio, educarli sulla natura dell'inoculazione. Se avessi avuto più tempo... stavo solo all'inizio. Un piccolo frammento di nano-epidemia, poche molecole speciali da far scorrere nel tuo cervello, attaccare i tuoi organelli, bloccare manualmente cose peggiori. Cose che ti fanno pensare che puoi violentare e uccidere, o che lo sporco è delizioso. Cose arbitrarie di questo tipo, alcune più sofisticate di altre, tutti pensieri che invadono il cervello col potere della religione.

Comunque, a questo livello si è trattato di una modificazione di comportamento su scala enorme. Il livello di fede che fa concordare la gente sul fatto che una guerra particolare sia necessaria, per esempio. Che proteggere la pratica di una religione che preghi l'amore e il perdono sia necessaria per commettere il genocidio. Quello era il tipo di cose contro cui mi trovavo là per fare l'inoculazione. Si trattava di un ballo complesso che stavo cercando di portare avanti e non posso biasimare la popolazione di Columbus per essere del tutto sospettosa nei miei riguardi e di quelli come me. Naturalmente le tue infezioni mortali regolari, tumori di ogni tipo, febbri deidratanti che uccidevano dopo settantadue ore... cose di questo tipo, erano anche totalmente possibili e la loro prevenzione faceva parte del pacchetto di base di immunizzazione. Solo che era molto difficile per quella gente credere che ciò che aveva ucciso poteva anche curare. Non erano ignoranti e non erano neppure idioti, era solo che ne avevano passate troppe e avevano deciso che era meglio morire piuttosto che credere ad un qualsiasi tipo di emissario ufficiale. Fino a che non accadeva a loro.

In quel caso erano felici che ci fossi.

L'immunizzazione funziona, anche se in modo imperfetto, ma in uno stato che non sia totalitario questa interferenza richiede un permesso. Questo faceva parte di ciò che si supponeva facessi, educare, ma io avevo realizzato da molto che la mia missione era stata sabotata una volta che ero entrata tanto ingenuamente dentro quel bozzolo. Non penso neppure che Don considerasse attentamente cosa fare. Rimescolare l'interloper. Frugare fra le scorte a disposizione e dargli (o darle: sorpresa, Don!) qualcosa a caso per mettere fine all'informazione richiesta. Probabilmente non aveva nessuna idea su che cosa rappresentasse lo sheet di Thurber. Era semplicemente casuale. Forse, considerando la paura per gli sheet che aveva ereditato, pensava che sarebbe stato sufficiente. Sufficiente a far apparire il nuovo dottore stupido e incapace. Forse aveva ragione.

La signora Schneider era alta e piuttosto bella, con capelli lunghi color grigio acciaio, anche se era vestita in modo dimesso in quanto questa gente non poteva permettersi molto e pretendeva di non voler niente che fosse anche remotamente connesso con i nano, come per esempio vestiti economici. Il baccano ininterrotto dei cori dai soliti cinque o sei dimostranti riempì la stanza prima che Tad chiudesse la porta. Tad, quindici anni (sapevo il minuto, l'ora, il giorno della sua nascita il momento stesso che gli strinsi la mano) con capelli marroni tutti arruffati e la magrezza sorprendente della gioventù, guardò in giro per la stanza come se avesse superato le porte dell'inferno ed io, nel mio camice bianco inamidato, fossi il diavolo. Allontanò subito la sua mano dalla mia.

"E' lei," disse e scosse la testa. Le lacrime si raccolsero nei suoi occhi, tremava. Mildred uscisti fuori di corsa per offrirgli una Coca, lui rispose di no e la madre disse, "Bevila," e lui la bevve.

Lei si voltò verso di me e disse, "E' vero, è successo a me. Qualcosa di terribile. Quanto ho ancora?"

"Dobbiamo fare dei test, signora S," dissi, anche se una volta che le strinsi la mano ebbi una idea sufficiente dei parametri generali. "Vuole firmare per favore dei moduli di assenso?"

"Con piacere," disse e iniziò col sedersi su una sedia di plastica tutta graffiata sotto un impianto di illuminazione che mancava di un bulbo. Mildred stava cambiandolo. Vidi chiaramente una cascata di piccole scariche elettriche di colore giallo che cadevano sulla testa della signora S. dalla presa vuota. "Perché non si siede là?" chiesi e la spinsi verso l'altro lato della stanza.

"Stia lontana. Mozzico, lo sa," disse.

"Lo capisco," dissi e fu più amichevole dopo di ciò, anche se non sono sicura che mi credesse. Aggrottò le ciglia sopra il suo lavoro e osservò un paio di volte la mano che teneva la penna in modo interdetto, come se si chiedesse come funzionava. Digrignò i denti mentre firmava bruscamente le carte e me le allungò. "Si sbrighi, per favore," disse. Tu, naturalmente, lo sai cos'erano le Epidemie di Metà Secolo, ma per un ascoltatore occasionale devo spiegare: c'erano delle epidemie precedenti. Epidemie di pensiero. Epidemie di atteggiamento. Queste epidemie attingevano a radici biochimiche, neurologiche e ferormonali simili. Attingevano e giocavano con noi umani inermi così come la malaria causa sudore e morte.

Tad e sua madre temevano questo e con ragione. Temevano allo stesso modo l'inoculazione ma avevano realmente la tremarella. Potevo centrarli e lo feci, avevo l'inforam preciso in laboratorio. Ci volle quasi un'ora a fare i test e ad adattarli leggermente e li inalarono (Tad era stato esposto, l'aveva contratta nella stessa tempesta anche se non presentava ancora sintomi) e tutto andava bene. Non feci scherzi, non cambiai le loro emozioni o la loro intelligenza anche se avrei potuto farlo in modo facilissimo. Diavolo avrei potuto inoculare l'intera dannata città nel giro di ventiquattr'ore ma credevo nella legalità allora e nella libertà di scelta. Ci credo ancora. Hai libertà di non venire se do anche il minimo accenno di sospetto. Sono sola ma questo non vuol dire che devi venire per forza, anche se potrebbe salvarti la vita. Preferirei morire qui con I.G. e Mildred il Bufalo Acquatico e il Nonno e Peter Johnson piuttosto che ti si costringa a venire.

Don venne nel mio laboratorio quel pomeriggio. Si faceva scuro presto quei giorni, era di dicembre. Stavo a Columbus da sette mesi. Prendevo appunti sul mio computer. Era solo il mio terzo caso. Ero soddisfatta. Speravo che avrebbero iniziato ben presto a credermi. Avevo contrattato di restare solo per due anni, ma non avevo nessuna intenzione di partire, mai.

Don mi fece sobbalzare; mi voltai al suo scalpiccio. Di solito bussava.

"Tad di sicuro è riconoscente," disse, e nell'oscurità non riuscivo a decifrare il suo viso, lontano circa sei metri. S'era fermato.

"Vieni avanti," dissi. "Siediti."

Non si mosse. "Siamo solo un esperimento per te, non è vero? Non siamo gente reale. Siamo una specie di manufatto che sei venuta a studiare. Non puoi immaginare di essere indipendente dal tuo sistema completamente pazzo."

"Per prima cosa, non l'ho inventato io questo sistema. E lei ha firmato l'assenso, se è quello di cui stai parlando."

"Non capisci," disse.

"Guarda," dissi alzandomi. "Non ho fatto niente per intromettermi nella tua comunità. Niente di niente. Non ho iniziato neppure i miei programmi educativi, secondo la tua richiesta, e a quanto pare sarebbe stato meglio se l'avessi fatto. Per fortuna ora sono qui, ma potrei insegnarti o, anche meglio, insegnare a Mildred a farlo. E' semplicemente un lavoro da tecnico medico. Ho preso un goccio di sangue della signora S e..."

"Signora Schneider."

"Ma tu... tutti la chiamate..."

"E' stata la mia maestra," disse.

Rimasi silenziosa per un attimo poi feci, "E' proprio spaventoso, non è vero?"

Non disse nulla.

"Mi fa veramente piacere d'essere stata qua, di essere riuscita ad aiutarla ad uscirne fuori," dissi. Mi sentii subito in colpa, un pochettino. Bloccava la porta. "Perché sei tanto arrabbiato, Don?"

La sua voce si abbassò fino a sospiro. Non riuscii quasi a sentirlo. "Forse perché non potevo aiutarla io." Penso sia ciò che disse. Poi il vano della porta era vuoto.

Posso insegnarti, pensai. Rimasi tra i miei barattoli, aguzzando la vista alla luce dello schermo del computer. "Guarda," dissi, parlando al mio studente inesistente. Mi diressi verso lo scaffale, strizzai gli occhi nella debole luce e lo trovai. Dissi, "Ecco la roba, ecco il B-7892, che ha curato la signora Schneider, la tua maestra. E' già mezzo replicato; i nano attivi sono verdi, vedi, Don; la soluzione di crescita è bianca. Ho replicato un fusto di soluzione di crescita la settimana successiva al mio arrivo; è laggiù nell'angolo. Se non mi odiassi tanto sapresti un milione di volte di più di questo semplice fatto."

Andai al mio schermo. Toccai alcune barre; feci andare i progressi. "Vedi? Secondo le mie stime migliori, questo è estrapolato dal suo campione di sangue, lei si sarebbe messa ad abbaiare nel giro di dieci ore. E' un classico. Posso rintracciarlo fino ad Atlanta nel 2014. Uno degli scherzi macabri dell'epidemia. Tad ha detto che aveva già morso la zampa di una sedia quando le si è fatto sopra nella sala, il davanti del suo vestito era bagnato di lacrime, aveva gli occhi spalancati per il terrore. Vedi, è quello che ho scritto nelle mie note, solo quello che mi ha raccontato." Toccai un'altra barra ed è quello che disse lo schermo, solo in un modo più tecnico. "So che tu non pensi sul serio che sarebbe accaduta una bella cosa alla signora Schneider. Non è vero, don?"

La stanza ora era proprio buia ed io rimasi là per un bel po' da sola, senza fare niente.
 



 
 

Che dire della madre di Don? Ci avevo pensato. Aveva ammazzato il fratello di Don e aveva puntato la pistola su Don, che a quel tempo aveva solo tre anni, quando una vicina bussò alla porta. La madre di Don con molta cura posò la pistola sul tavolo della cucina, passò sopra al corpo del figlio morto e andò ad aprire la porta. Don iniziò a urlare e corse fuori una volta aperta la porta. La vicina guardò dentro, afferrò coraggiosamente Don e scappò. Udì il colpo che ammazzava la madre di Don all'incirca un minuto dopo, alla distanza di un mezzo isolato. Il padre di Don era morto due anni prima di una qualche nano-infezione.

All'orfanotrofio Don fu trattato con tutte le cure, era un bambino sveglio e avevano bisogno di dottori. A quel tempo, prima della terribile Terza Ondata, l'università era ancora intatta e con le buone o con le cattive Don prese la laurea senza dover mai lasciare la sua città natale. Ma, in qualche modo, questa era anche la mia storia.

Quando Mildred mi raccontò la cosa una mattinata che accecava per il biancore mentre stavamo passando attraverso i cumuli di neve per andare all'ospedale, rimasi folgorata.

"Che storia terribile," dissi.

"Sì, lo è proprio," rispose.

Naturalmente tutti in città pensavano che, medicalmente parlando, fosse il cacio sui maccheroni (come una delle prozie pazze di Thurber avrebbe detto), il Dottor Don, Superman. Con un tecnico in medicina accanto, Mildred, avrebbero salvato la città. Ma la loro città si trovava in una Area di Necessità, non certo una novità per loro, esattamente, ma una categoria che sconfinava nell'assurdo per quanto li riguardava. L.A. aveva anch'essa un sacco di Necessità, no? Ha, ha, pensavano, immaginate qualcuno da quelle cupole che viene ad aiutare noi. No, no, pensava Don, non abbiamo bisogno di nessun altro qui, all'infuori di me, il Superdottore! E della fedele Mildred, anche se naturalmente c'è veramente poco che non possa sistemare io da solo, pensava Don. Ora lo so questo, allora no.
 



 
 

Benissimo. Concretezza. Sono d'accordo. Obbedisco. Ecco:

La neve era alta a Columbus, quell'inverno, e io ero deliziata. La neve era una favola che diventava realtà. Non avevo mai visto prima la neve e dopo di Novembre non è più scomparsa.

Nevicava mentre scendevo a piedi lungo Front Street col mio fardello di pane appena cotto. Fine inverno, una tempesta d'Aprile; tutti quanti che si lagnavano ed erano depressi, ma non io. Lo ricordi, Tu? Facevo da sola il pane. Ridevi, non è vero, chiedendomi se non prendevo i nutrimenti solo da tubi o da una parete del cibo alla città fiore di L.A. come se avessimo abbandonato tutto ciò che era importante nel convertirci.

La neve fredda e umida mi puntinava il viso. Ancora non comprendevo il fascino che provavo per certe strade. Pensavo che mi attraessero i rami alti e scuri senza foglie degli aceri contro i lampioni antiquati, ma in realtà era La Strada Dove Viveva Lui, Thurber, cioè. A dire la verità c'era un drugstore aperto per tutta la notte in quel posto, ma chiuse quando Jat Thatcher decise di chiamarlo un night. Stava aperto per tutta la notte solo se lei si ubriacava e suonava della musica ad alto volume e chiunque arrivava sapeva di non poter contare sulle pillole. Una volta era stato un luogo dove andavano gli scrittori per un po' a lavorare, in quella che era la casa di Thurber, cioè. Ma la misteriosa attrazione del Luogo era su di me con forza, come se fossi Thurber, da fanciullo, dove tutti i parenti sono eccentrici ed eccitanti ed è per questo, supponevo, che io ridessi così spesso. Non credo che Thurber lo facesse, realmente, di ridere tanto voglio dire, in quanto la gente che può farci ridere è spesso fatta di brontoloni arcigni nella vita reale, ma non ne sono molto sicura. Forse se lo teneva dentro e lo intensificava, come lo sperma che si suppone torni ai centri spirituali nello yoga tantra. Forse questo è il segreto della gente che può far ridere gli altri.

Sono una fonte di informazione, no?

Il mio viso pungeva per via del vento freddo quando incontrai l'aria calda dentro la tua cucina.

Pensavo a voi due come ad una persona, anche se nelle vostre menti ciò non era vero, anche se credo che tu stessi rendendotene conto. Ed io ero il ponte involontario tra l'allora e questo adesso proprio strano. Cos'è l'adesso per te, mi chiedo? Sono curiosa. Dimmelo.

Mildred, tu eri diversa da chiunque altro avessi conosciuto a L.A. Terrena. Connessa. I tuoi occhi erano blu e sorridevano, tranne quando Don si rivolgeva bruscamente a te. Allora si scurivano. Verso la fine ci vidi della rabbia autentica anche se non avevi idea su come esprimerla.

Quella sera la cucina odorava di pomodori estivi e di aneto e di basilico tirati fuori dai barattoli. Una pentola d'acqua bollente creava il vapore sui vetri. Due bottiglie di vino fatto in casa da un paziente erano state stappate. "Vigneto Jefferson" ci lessi; la signora Jefferson aveva decorato la propria etichetta con l'approssimazione di un grappolo, ma l'inchiostro s'era sciolto con la condensa. Tre cucciolotti bastardi piuttosto grossi allungavano le zampe sopra la tavola che li teneva nell'angolo, la madre era fuori a fare una corsa. Mildred me ne aveva promesso uno. Li accarezzai tutti con la mano libera ed essi si contorsero e si rallegrarono di piacere.

Posai il pane, appesi il cappotto e versai un po' della delizia della signora Jefferson nella tazza da caffè. Non hai idea quanto fossi felice con voi due. Forse eravate i genitori che non ho mai avuto, chissà.

"Sa un po' di ferro, non trovi?"

Mildred mi prese la tazza e fece un sorso.

"Sì," rispose.

"Come l'acqua da un pozzo minerale proprio profondo," dissi, non per niente dispiaciuta che il vino facesse echeggiare i suoi elementi distintivi, anche se poteva essere che la signora Jefferson invecchiava il suo vino in botti di ferro.

"Ci porti sempre in giro, eh, Piccola Signorina Dottoressa Di Città!" disse Don in modo piuttosto selvatico, pensai, dall'angolo della cucina dove stava tagliando le cipolle. Sbuffò e sbatté gli occhi ma preferì continuare a tagliare. Taglia taglia. Taglia taglia. Una bottiglia di vino semivuota gli stava a fianco.

"Non volevo dire..." dissi, ma poi lasciai andare. Mildred lo fissava con una espressione sorpresa. Ancora non si rendeva conto che spesso era solo scortese perché quando la trattava a quel modo non riusciva neppure a capirlo.

E non so perché scegliesse quella notte per mettermi contro la dispensa, quando Mildred uscì sul portico di dietro a chiamare il cane, cinque minuti dopo, per dichiararmi la sua passione per me e per cercare violentemente di baciarmi.

Mi mise le braccia attorno e mi sussurrò nell'orecchio "Non sapevo che sarebbe venuta una donna. Non sapevo che saresti stata tanto bella." A questo risi. Mi ignorò e continuò. "Mi spiace. Mi spiace di aver fatto cadere il letto. Lascia che ti aiuti ad uscirne. Posso riportare tutto indietro. So più cose di quante tu non creda, sugli sheet, comunque. Forse non lo sai esattamente, forse non puoi. Mildred ed io... avevamo dei problemi e temevo che con l'arrivo del nuovo medico... è per questo che rimasi così sorpreso quando ti vidi, ma era compito di Mildred di portarti agli sheet e lei non sapeva che li avevo cambiati per renderti pazza e che posso dire? Solo dopo ho guardato per vedere che cosa ti avevo dato; avevo solo tirato fuori qualcosa in mezzo al panico quando avevamo saputo che il tuo treno era realmente sopravvissuto. Ti odiavo prima che arrivassi. Pensavo che avresti preso il mio posto qui, che tutti avrebbero capito che riuscivano a cavarsela senza di me. Non sapevo che saresti stata... tu. Julia, mi spiace tanto, amore" e mi strinse e fu allora che sentii i tuoi passi sulle scale del portico e ancora mi rimproveri di essere confusa? Oltre al fatto che ero stata intenzionalmente e nanotecnologicamente confusa? Potrai mai perdonarmi per non aver detto nulla, e intendo proprio nulla, non credo che abbia detto due parole durante la cena o abbia mangiato due bocconi. Gli sheet? Il letto che cadeva, come lo sentivo cadere spesso di sopra mentre mia madre (cioè la madre di Thurber) urlava che il letto doveva almeno cadere su Papà. Che diavolo? Come faceva a saperlo? Ricordo di averlo fissato mentre si pressava contro di me e senza parole lo spinsi lontano e corsi via dalla dispensa mentre entravi col cane, coi capelli brillanti per la neve. Ricordi come ti ho guardata? Ti ricordi che Don disse, "Bene, mangiamo allora!" e iniziò immediatamente a buttare i nidi di pasta alla carota nella pentola? Ti ricordi che me ne andai presto? Mi ricordo quanto ti mostrasti delusa e come mi fissava lui per tutta la cena, col timore naturalmente di cosa avrei potuto raccontarti. Ero arrabbiata, piena di bile e lui lo sapeva. Di sicuro si immaginava che non avrei resistito molto senza raccontartelo. Ciò che avevamo, la nostra amicizia, era durata solo dieci mesi o poco più. Eppure mi aveva dato una vita intera di ricordi, ricordi su cosa siano gli esseri umani reali, che possono essere... così interessanti, così divertenti (lo dico nel modo più rispettoso, vorrei che capissi, perché devi realmente conoscere qualcuno, credo, per essere realmente divertita da lui. Forse questo è amore, o almeno una grossa porzione.)

Mildred, non posso spingere questa storia nei canali adatti. Pensavo, mentre scivolavo lungo le strade buie e piene di neve, ora cosa direbbero quei sociologi? Dovrei raccontarlo a Mildred, e lasciare che si azzuffino? Mi biasimerebbe, anche se non ho fatto niente, per quanto ne posso dire, per provocare una confessione di questo tipo? In quel momento mi resi conto quanto fossi importante per me, Mildred, e quanto sarebbe piatta la mia vita a Columbus senza la tua brillantezza. Ripensavo a quel pomeriggio dell'autunno precedente quando ti tenevo mentre singhiozzavi, dopo un incidente in cui Don era stato particolarmente meschino e se n'era andato da casa, sbattendosi dietro la porta. Sentivo il bisogno di qualcosa... ed ebbi paura e lasciai che le mie braccia perdessero tensione. Tu ti ritirasti e mi guardasti in modo così diretto e mi baciasti con forza, poi ridesti, ti voltasti verso il lavabo e ti buttasti l'acqua sul viso. Poi riempisti un bicchiere di vino per tutte e due sui bicchieri di cristallo di tua nonna e ce ne andammo nel giardino dell'autunno morente sotto gli aceri ardenti e ci sedemmo sulle seggiole di ferro, stranamente in pace, felici, connesse, complete.

Ci sono persone la cui sola presenza ti rende allegro. Non ne avevo incontrata nessuna prima. Dopo quel pomeriggio ogni giorno in cui non ti vedevo non poteva essere così luminoso, anche se non ci toccammo mai più non faceva differenza. Non ero l'unica a provare questa cosa, mi resi conto mentre ti osservavo al lavoro coi tuoi amati concittadini, coi bambini, con persone anziane prossime a morire. Tutti la provavano.

Suppongo che anche Don se ne rendesse conto, dopo lo scontro, nel riflettere, quella notte, ripulendo il mio piatto intatto di pasta alla carota e buttando via il mio bicchiere di vino della signora Jefferson. Almeno si suppone che qualcosa in linea con queste cose gli passasse per la mente. Quando arrivai a casa ero esausta. Non riuscivo neppure a pensare. Andai a letto.

La mattina dopo mi alzai e ancora non sapevo cosa fare. Presi il caffè con Keefer che tossiva in modo secco a tutto spiano. Di certo apparivo distratta. La neve era alta più di un metro, ma si andava sciogliendo. Guardavo fuori di finestra e pensavo. Vidi Don che passava, portando una grossa sacca. Niente di insolito, semplicemente in cammino verso l'ospedale.

Mi chiesi poi, guardando fuori attraverso le tende bianche, se per caso non aveva contratto qualche tipo di epidemia. E' quello che direbbe Mildred, sbuffai nei miei confronti, aveva sempre una scusa per coccolare Don. E' ciò che le direbbe anche Don.

"Cosa?" chiese la signora anziana.

"Niente," risposi. "Non ho detto niente." Mi alzai per prepararmi per andare all'ospedale. Di colpo mi sentii molto in ansia per i miei vasi di cristallo e per il mio computer.

Quando vidi che i miei ripiani erano stati violati che cosa feci? Niente. Mi trattenne il sentirmi divertita, come se mi ritrovassi in una delle storie di Thurber ed attendessi di vedere cosa poteva succedere, di modo che avrei potuto raccontarlo di nuovo in maniera comica così da far ridere tutti. Non come sono solita fare. Era una sorta di pesantezza, una distanza. Erano cose buone, dopotutto, barattoli e barattoli di cose buone contro l'inverno furioso delle epidemie. Nella loro forma pura. Se nessuno si fosse messo ad armeggiarci o a mischiarle.

Che fortuna per Don, la mia reazione. Voglio dire nel breve termine.

Dopo di ciò non ero sicura su cosa fare, ma la freddezza degli occhi di Don quel giorno, quando ci capitò di incontrarci nell'ufficio di Mildred, mi mise paura. Veramente, mi impaurì. Pensai alla Nonna demente di Thurber, che ancora credeva che stesse combattendo la Guerra civile. Don è pazzo, pensai. Illuso. Penso che fosse un effetto collaterale proprio brutto di quegli sheet di Thurber, creava categorie convenienti in cui poter sistemare la gente, basandosi su similitudini minimali.

Ma nei termini del problema da affrontare sentivo che alla fine stavamo arrivando da qualche parte. Sempre più gente veniva a farsi immunizzare. Diavolo, tre in una settimana!

Quale era il pericolo delle epidemie? Il pericolo era precisamente quello che stavo sperimentando io: la pazzia. La mia era su scala piuttosto ridotta in quanto sapevo cosa stesse accadendo, lo sapevo realmente, mi rassicuravo e non avevo il tempo di cercare di scoprire sul serio quale fosse esattamente il problema... e, in qualche modo, la cosa mi divertiva, fino a quella notte. Penso che si potrebbe dire che faceva parte dell'eccitazione dell'essere senza cupola. Un altro modo di dirla era che ero troppo stupida per vivere. Avrei dovuto affrontare Don e Mildred e prendere il primo treno per casa, arrivavano ad intervalli di sei mesi, questo è vero, ma comunque arrivavano. Ne doveva arrivare uno entro breve tempo, se non era saltato in aria. Ma pensavo di aver compreso in qualche modo cosa stesse accadendo, questa comprensione mancava di acutezza; ciò faceva parte della malattia. Rilasciava i suoi componenti chimici che imitavano nella struttura i componenti chimici naturali del divertimento, dell'endorfina e degli oppiacei; come se stessi continuamente ridendo nel profondo.

Penso che Don, una volta accortosi della possibile efficacia di ciò che avevo portato con me, decidesse di studiarlo e quando ne avrebbe saputo a sufficienza lo avrebbe reclamato a se, per sua gloria maggiore. La parte orribile era che avrebbe fatto il damerino con me. Cosa si credeva, che avessi deciso di vivere e morire a Columbus e diventare Mamma Julia? Diavolo, no di certo. Avrei fatto i miei due anni, soddisfatto la mia curiosità, forse avrei fatto un giro delle altre grandi cupole, Toronto, Quebec, NY, poi mi sarei diretta verso casa, a meno che non avessi preso realmente l'occasione di avventurarmi tra le zone spoglie di Cape Breton che per qualche ragione mi attirava, una ragione che ora conosco: la mia dimora, per ragioni che non avrei potuto predire all'interno della cupola, è il mondo selvaggio.

Lo so, da qualche altra parte ho detto che avevo deciso di non partire più. Penso di aver avuto il desiderio di restare per sempre, prima di quella notte spiacevole.

Comunque avrebbe sciupato il Quadroperfetto se avessi detto qualcosa a qualcuno. Don era troppo orgoglioso per chiedermi di non dire niente, questo devo concederglielo, ma mi sembrava che Mildred avrebbe dovuto sapere... non penso di certo che fosse compito di qualcun altro. Ma lui fece in modo di tenerci divise per tre giorni. Mentre metteva in atto il suo piano, me ne accorgo adesso. In quanto a me, stavo solo rimuginando sulle cose, cercando di decidere cosa fare e cosa dire. La sola cosa di cui ero assolutamente certa era che lui per me non suscitava nessun interesse.

Sapevo quanto Tu amassi Don. Sapevo quanto poco lo meritasse. Sapevo quanto avrebbe potuto distruggerti sentire ciò che era successo. E anche se non ce n'era alcuna ragione, pensavo che sarebbe stato più facile incolpare me piuttosto che lui della cosa e io non volevo essere scacciata dal tuo cuore. Pensai che forse avrei dovuto pensare a partire. Ma ciò mi spiaceva enormemente: avrei lasciato il mio lavoro senza finirlo! E sapevo che ti sarei mancata e che saresti rimasta perplessa e mi chiedevo se avessi dovuto chiederti di venire con me. Mi chiedevo ogni tipo di cose mentre andavo a lavorare e non dissi nulla.

Poi le cose si fecero, dovremmo dire, proprio curiose.
 



 
 

Lunedì mattina mi persi il mio pellegrinaggio regolare alla diga. Il vecchio Keefer era praticamente emorragico in cucina. Ansimando accettò d'essere curato.

Mi ci volle quasi tutto il giorno. Ma come mi fece felice la cosa, non solo l'aver curato Keefer, ma il pensare (se le cose avessero preso un corso normale, cosa su cui a quanto pare non potevo fare molto affidamento) che sarebbe stato un esempio vivente di cosa i nano, se usati correttamente, potevano fare.

Per questa ragione mi avviai presto il martedì per la statale. Il cielo era pieno di nuvole scure, aveva piovuto per tutta la settimana, aveva nevicato per tutto l'inverno. Il fiume accanto alla statale stava già scorrendo verso la pianura fluviale, con un mese d'anticipo, dicevano.

Avanzando assorta, pensando in parti uguali a Keefer, Mildred e Don, non prestai molta attenzione a ciò che mi circondava fino a che non arrivai quasi alla diga. Ero passata per la corsia d'uscita gelata e preso la strada di servizio solo per abitudine.

Poi notai qualcuno che si arrampicava lungo le scalette di metallo accanto alle chiuse.

Ero circa ad ottocento metri. Mi fermai incuriosita. Come si mosse realizzai che si trattava di Don.

Iniziai a correre.

Mi ci vollero cinque minuti per raggiungere la base della diga e il condotto di fuoriuscita nelle chiuse coprì il rumore dei miei passi che nelle mie orecchie erano forti quanto il martellare del cuore.

Si fermò nel salire alla prima chiusa e tirò fuori qualcosa dalla giacca. Allungò il braccio. Agitò il polso.

Non ero sicura con esattezza, mentre guardavo in su verso di lui, così meravigliata da non potermi muovere, su quale tipo di nano avesse versato in quella chiusa. Si poteva sicuramente immaginare che non lo sapesse neppure lui. Ma qualsiasi fossero gli effetti, mi si poteva accusare con facilità. Mi ricordai dei miei barattoli razziati. Poche chiacchiere. I nano erano nella chiusa finale e si sarebbero ritrovati nel sistema della riserva idrica nel giro di una ventina di minuti.

Mi voltai. Saltai nei cespugli laterali e caddi tra gli alberelli.

Nel correre, tutti quegli sciocchi disegni mi attraversarono il campo visivo, tutti che fuggivano da Columbus per via della voce falsa sul rompersi della diga e io pensai Sì, Don, Sì! Ecco la risposta! Porto tutti fuori di città proprio come nel racconto. Dirò loro che la diga di è rotta!

Ero fradicia di sudore quando raggiunsi le prime case di Columbus, la fattoria di Sally Cabriello e sapevo che aveva un telefono.

Spalancai la porta e urlai, "La diga s'è rotta!"

Si fece pallida. "No!" I suoi capelli chiari erano tirati indietro con una bandana. Teneva il figlio biondo e un altro di quattro anni corse al suo fianco e disse, "Mamy che problema è?"

"Posso usare il telefono?" chiesi.

Annuì e afferrò una sacca e vi gettò scatole di piselli e di grano. Come dissi a John, l'operatore, e lo esortai a dirlo a tutti il Piano 2 era partito, dovunque si trovavano dovevano andare tutti sulle enclavi di terreno sopraelevato che erano state preparate. Sally, impacchettò i figli, li spinse alla calma e li portò fuori. Mise il ragazzino nel carretto, mise quello piccolo nel seggiolino della bicicletta. Poi si fermò, guardando attraverso la finestra, fissandomi e pensando, lo capivo, e di lei che ne sarà?

"Vai," urlai e mi sbracciai, agitata. Apparve dubbiosa, poi si rivoltò verso i figli e saltò sulla bicicletta senza un altro sguardo.

Nel frattempo John disse qualcosa di veramente strano.

"Don mi ha detto che ci avreste provato a farlo," disse.

"Cosa?"

La voce di John era piatta, senza partecipazione.

"Ha detto che avreste provato a fare qualcosa di questo tipo. Pretendere che la diga si fosse spezzata cosicché tutti avrebbero concordato a farsi inoculare. E' abbastanza sveglio, lo sapete."

"Non capisci," dissi desiderando che mi fosse accanto così da potergli tagliare la gola. "Tutti devono andare via dalla città. Ora. Non c'è tempo..."

E poi il telefono mi fu tolto di mano.

Don riappese e disse ansimando, "Ti ho vista. Mi spiavi."

"Idiota," dissi. "Dì a John di far andar fuori di città tutti quanti. Non hai idea di cosa hai combinato."

Si limitò a ghignare e staccò il filo dalla parete.

"Mi dirai esattamente cosa fare per rimettere a posto tutti quanti. Andiamo."

Bene, pensai, mentre mi spingeva per strada davanti a lui. Non mi importa chi ottiene i meriti. Ho la possibilità di inoculare tutta la stramaledetta città.

C'erano molte cose che nessuno dei due aveva considerato.

Una, Sally. Era ottima come sirena.

Due, il fatto che quando tornammo in città, la clinica era aggredita dalla folla.

E tre, la dica realmente crollò.

Era vecchia. I torrenti primaverili, dopo tutta quella neve, l'avevano stremata.

Lo sentimmo lo stesso minuto in cui arrivammo alla clinica.

Avevamo visto che non potevamo entrare dalla porta principale così andammo sul retro. Era ingombra. La gente urlava a Mildred chiedendo nano antidoti da portare nel Bunker di Sopravvivenza. La gente è buffa, non è vero? I bambini piangevano, quasi tutti, aggiungendosi alla generale cacofonia infernale. Mildred voleva far credere di non sapere dove i nano fossero, dubbiosa su cosa volessi fare, suppongo.

"Sono su all'ultimo piano, venite!" strillò coraggiosamente Don, mentre Mildred fissava lui poi me. Io mi limitai ad annuire e lei urlò. "Aspettate ora, con calma, allineativi qui..."

Poi sentimmo l'esplosione sorda.

Tutti capirono cosa fosse successo. Pensavano che la diga si fosse rotta prima, anche se non avevano sentito nulla, il che probabilmente li aveva fatti sentire al sicuro, come se forse non s'era rotta, forse era solo una piccola incrinatura e abbiamo tempo di guardarci attorno.

Ora sapevano che era un fatto accertato.

Mildred era fra loro e la porta.

"No!" urlò Don. "Da questa parte! I nano sono da questa parte!"

Ci misero tre o quattro minuti a passare dal vano della porta. Alcuni presero su le sedie e il suono dei vetri fracassati si mescolò con le urla generali e i pianti e il rumore dei passi di un centinaio di persone impazzite che scendevano correndo le scale principali per unirsi alla folla in strada.

Poi ci fummo solo noi tre.

Le lastre di vetro rimaste nei telai delle finestre erano sporche di sangue. Mildred se ne stava afflosciata nel vano della porta.

Corremmo verso di lei e ci inginocchiamo accanto. Mi guardò fissa negli occhi. "Per favore, salva Don," mi disse, come se sapesse che avrei potuto non farlo. Non potei trattenermi dal pensare, certo… se ho tempo. Potrei essere occupata, comunque.

A Don disse, "Prendi l'argento di mamma dal buffet e portalo sull'attico. Non scordartelo. E anche le foto nella cassettiera dell'ingresso." La testa da un lato era gonfia. Il naso appariva rotto. Mentre parlava Don le sentiva velocemente il corpo in modo esperto. Si volse verso di me. Boccheggiò un paio di volte prima di poter parlare.

"I bozzoli," disse. "Possono curare un collo rotto?"

Cercai di corsa un collare stabilizzatore. L'assicurammo ad una tavola. L'ascensore non funzionava. Mentre ci fermavamo ad ogni pianerottolo per riprendere fiato potevamo vedere la gente che correva su bici, cavalli, a piedi, dirigendosi verso il Bunker, che si trovava centocinquanta metri sopra la città. Vidi quattro adolescenti che tiravano fuori il signor Tolliver, il padrone della gelateria, dalla sua auto gialla e lo buttavano in strada e poi arrancammo per un'altra rampa, sudando.

I bozzoli erano al dodicesimo piano, in cima.

L'acqua fluiva attraverso le strade per quando ci arrivammo e qualsiasi cosa Don avesse gettato nella chiusa stava facendo effetto. Naturalmente non avevo idea di cosa fosse. Ti fissò, Mildred, ed iniziò a ridere istericamente. Poi si mise a piangere. Ti tirava, facendo piccoli singhiozzi, cercando ti tirarti lontano dal bozzolo. Mi stavo guardando attorno in cerca di qualcosa per colpirlo alla testa, devo essere onesta con te, quando collassò sul pavimento.

Ti tirai in uno dei bozzoli senza il suo aiuto, ciò che dicono sulle emergenze che ti rendono più forte è vero. Le mani mi tremavano ma subito iniziò a respirare per te. E mi indicò che eri stabilizzata. Qualsiasi danno ti avessi procurato nel maneggiarti sarebbe stato riparato. Ero debole per il sollievo. Il bozzolo si alimentava da solo, naturalmente, i batteri erano ancora vivi, una delle ragioni per cui erano tenuti sottochiave all'ultimo piano, per via della loro pericolosità. Guardai Don. La mia energia s'era affievolita. Non sarei riuscita a sollevarlo nel bozzolo, come potevo farcela? Guardai verso di te.

Mi dovetti sedere a pensare per alcuni minuti prima di decidere cosa fare e come farlo. Ora dov'è quel barattolo di compatibilità, mi chiedevo, di sicuro devo averne uno, dovrebbe essere giallo, non credi, anche se c'era un codice più preciso così sfogliai i miei tabulati, come se avessi un'infinità di tempo, e lo trovai. E' difficile da spiegare, ma quel barattolo era pieno di storie.

Le storie sono buone per insegnare cose come la compatibilità, soprattutto se credi che le stai vivendo. Iniziai a volteggiare oltre il mio ripiano di barattolini chiedendomi se anche la compatibilità fosse stata scassata mentre cercavo di ignorare la vista della First National Bank che crollava, abbastanza lentamente, su un fianco fuori della finestra ad occidente.
 



 
 

Quando finii ero riuscita a caricare Don e ad amministrare, credo, la compatibilità. Devi ricordare che le cose erano, a metterla proprio bella, piuttosto bislacche. Inclusi un codice radio, nonostante la Fibrillazione (sembrava scemare un po' ogni paio di mesi) in quanto non avevo idea dove sarei andata ma nella mia presunzione pensai che quando tu ti saresti risvegliata, ricresciuta, e poi ogni incarnazione di te da lì in poi, avresti voluto ritrovarmi. O, in caso negativo, almeno avere qualche informazione da me sulla sopravvivenza.

Ti detti, mentre sprofondavi sempre di più nell'immersione del bozzolo, ogni singola immunizzazione che potevo gestire. Diavolo, non era difficile. Bastava raccogliere i barattoli di immunizzazione dal pavimento attorno alle mie ginocchia. Qualcuno, perché ora penso a Don? Ne aveva buttato giù una fila o due. I cristalli s'erano sparpagliati sul pavimento in un arcobaleno di quella che appariva come sabbia colorata. Aveva aperto la grossa latta di soluzione di crescita e l'aveva versata dove potevano mescolarsi, così si stavano replicando come ossessi, ne sono certa.

Uno dei cuccioli, erano cresciuti abbastanza e Ti seguivano al lavoro aspettando pazientemente fuori dell'ospedale, si avvicinò alla porta e dopo aver mostrato la propria gioia nel vedermi iniziò a leccare i nano sul pavimento. Hmmm, pensai mentre lo caricavo nel foro del bozzolo, dovrebbero essere saporiti. In uno stato intorpidito raccolsi campioni di ciò che pensavo mi sarebbe potuto servire e li sigillai strettamente nelle mie piccole fiale di plastica originali, e le incartai nella plastica e... oh, che importanza ha se lecca, pensai alla fine e spinsi i barattoli sigillati nella mia sacca originale e sigillai anche quella.

Comunque, per quando I.G. ed io uscimmo fuori dalla finestra del secondo piano e nuotammo verso First Street dove arrivammo a riva, io con la mia sacca di nano, non aveva propria alcuna importanza. In qualche modo eri fortunata.

C'era il fatto che una nuova epidemia stava attraversando il paese. Columbus se la sarebbe presa comunque. Veniva dall'Asia, seppi poi, non appena si fermava la Fibrillazione, mentre io e I.G. ci dirigevamo ad ovest, poi a nord, sul treno meccanizzato fino a qui, alla fine della linea.
 



 
 

Ora so che la compatibilità non ha attecchito almeno su uno di Te, Don. Quando sei salito su per la collina, peloso e con la barba, tutto ciò che dovetti fare fu di abbracciarti e poiché non eri cambiato il tuo respiro s'è fermato. E' tutto. Ho le istruzioni dentro di me e ora non posso cambiarle. Se sei compatibile, che è un'istruzione nano proprio precisa, tu vivrai di sicuro quando ti stringerò.

Be', questo dovrebbe tenere lontani tutti gli altri te, se ce ne fossero. Leggilo nelle informazioni.

Mi chiedo che cosa hai fatto con Mildred, tu che non eri compatibile. Perché non è mai venuta? Lei era già compatibile. Mi sarebbe piaciuto vedervi arrivare assieme. O almeno mi sarebbe piaciuto vedervi tutti e due con dei bambini. Se sei diventato compatibile. Mildred ne parlava molto. Mi chiese se avevo dei nano che potessero aggiustare ciò che non andava in lei e lo feci, ma non te lo ha mai detto. Le dissi di farlo e basta; lui non sarebbe mai stato d'accordo. Lui voleva dei figli. Ma, naturalmente, non come dono di un nano. Bene, penso questo di averlo sistemato, almeno.

Questi sono pensieri miei. Ma ho molte cose da fare.

Disserbo la mia soia. Parlo col Nonno.

E una volta all'anno visito il Pointed Fir Lodge.

Vado giù nella cantina gelida in pietra e seriosamente discuto la scelta del vino.

Io e I.G. abbiamo scelto una barca a remi che non fosse fradicia. I remi tagliano nell'acqua luccicante e mi allontano dai fondali in granito tremolanti, tiro con forza, finché non scivoliamo velocemente. Ci vuole un po' a prendere i lucci, ma ci si diverte. E' il divertimento maggiore al mondo. Ne prendo sempre due. A volte li arrostisco, a volte li faccio al cartoccio con le erbe.

C'è un sacco di riso in cantina e si trovano germogli amari di rucola in primavera.

Una sera il treno automatico arriva veloce in città e si ferma con precisione sul segno. A volte io e I.G. lo guardiamo dall'ombra della vecchia stazione di pietra, altre volte finiamo la cena con calma e comodità e lo sentiamo solo arrivare e andarsene mentre le candele tremolano… dipende da quanto siamo stati a pesca e dipende dall'umore dei lucci.

Non è mai sceso nessuno.

Domani tornerà. Mildred. Probabilmente Tu sei vecchia ora, forse ti sei svegliata molto tempo fa e il Don con cui ti sei svegliata era compatibile e assieme avete ricostruito la vostra città e salvato la mente dei vostri concittadini e non avete permesso ai vostri doppi spettrali di crescere. Feci del mio meglio per sovrappormi a quella vecchia programmazione annuale in quel giorno orribile, ma non potevo essere sicura di esserci riuscita.

A volte desidero d'essere stata abbastanza forte da tornare e interromperlo. E a volte mi fa piacere di non esserlo stata, pensando (come faccio spesso, qua, nel sole brillante di queste mie cime montane) ai migliori risultati possibili, che dopo tutto non sono poi così improbabili. Ero la seconda del mio corso, lo sai; se c'era qualcuno che poteva correggere la programmazione in un tempo così breve, quella ero io. E in quel momento non potevo sopportare l'alternativa di lasciarti semplicemente morire.

Così, se ha funzionato. Se ha funzionato, e il Don che era compatibile è morto, come probabilmente è successo nel momento che ha raggiunto i 78 anni, secondo le mie proiezioni genetiche, molto prima dei tuoi 107 anni progettati, per favore, vieni. Prepara solo una valigetta, non avrai bisogno di molte cose.

Scendi al capolinea.

Dirigiti verso nord.

Fine
 


© Kathleen Ann Goonan, 1995
Pubblicato originalmente come una OMNI online novella titolo originale, The Day the Dam Broke traduzione italiana, Danilo Santoni

THIS SHARED DREAM | IN WAR TIMES| QUEEN CITY JAZZ | THE BONES OF TIME | MISSISSIPPI BLUES | CRESCENT CITY RHAPSODY | LIGHT MUSIC |Novellas & Short Stories | Selected Book Reviews | Travel | Interviews & Signings | Orders | Links | Guests | Email | Home